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Bosnia - Ottobre 2010

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Iniziare questo diario di viaggio non è semplice, come non è semplice mettere in ordine tutte le emozioni di questi pochi giorni.
Mi chiamo Giulia e sono volontaria di SIE da aprile del 2010. Ho partecipato al viaggio in Bosnia dal 28/10 al 01/11.
La partenza è alle 20.30 di giovedì 28 ottobre e dopo oltre 10 ore di strada arriviamo a Bihac, la prima grande cittadina che si incontra una volta entrati in Bosnia. Appena scesa dal furgone ho avuto subito la sensazione di essere arrivata in un nuovo mondo. Sono da poco passate le cinque del mattino e già diverse luci nelle piccole case sono accese e i primi segni di guerra sulle case iniziano a comparire. Qualcosa di strano comincia a farsi sentire dentro.
I chilometri scorrono e un amico inizia a raccontarmi di com’erano quei luoghi durante la guerra e delle mine che probabilmente ancora adesso infestano i campi. Intanto i cadaveri delle case distrutte ogni tanto compaiono in mezzo al freddo del primo mattino, case che raccontano da sole lo strazio di una guerra che molti conoscono poco.
Una volta arrivati a Jiace incontriamo Semka e Sada, le due responsabili delle associazioni “ANIMA” e “VIKTORIA 99” che seguono insieme a noi i progetti in Bosnia Erzegovina.
Insieme a loro c’è anche Caterina, una volontaria che collabora con Semka, una ragazza giovanissima e molto timida che dedica il suo tempo alle persone in difficoltà. E’ incinta e questo le dona un’aria molto dolce. Appena ci siamo trovati si è instaurato subito un clima amichevole, ma dopo pochi minuti ci siamo messi subito al lavoro. Il tempo è poco e il lavoro da fare molto lungo.
Semka, con l’aiuto di Sada che traduce il bosniaco per noi, inizia subito a parlare delle novità che riguardano le nostre famiglie di Jiace prima di iniziare il giro di visite.

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Ecco che alcuni nomi iniziano a farsi strada e per me è difficile seguire con attenzione le discussioni perché non conosco nessuno dei casi. Mi sembrano lontani e non mi appartengono (ancora).
Sento parlare di malattie, di violenza estrema, di problemi psicologici di vario tipo alcuni dei quali sfociano nell’alcolismo e tutto mi sembra così tristemente surreale . Poi inizio a scorrere le schede delle nostre adozioni dove i volontari, dopo ogni viaggio, inseriscono gli aggiornamenti sulle famiglie e inizio così ad avvicinarmi a tutti loro. A volte le foto aiutano a dare un volto a tutta quella incredibile povertà e purtroppo è sempre il volto di un bambino.


Foto3572Una volta usciti dalla piccola caffetteria iniziamo il giro di visite alle famiglie ed ecco che tutto diventa purtroppo reale, molto reale. Incontriamo i primi bambini e una volontaria mi invita a compilare io stessa le schede , in modo da  iniziare subito a conoscere meglio ogni caso. In alcune famiglie non troviamo grandi novità rispetto all’ultimo viaggio di agosto in altre invece ci sono stati piccoli cambiamenti positivi come la raccolta della legna completata per l’inverno e il raccolto dell’orto che è stato abbondante e consentirà di avere patate e altre verdure per tutto l’inverno.
In altri casi invece la mancanza di lavoro degli uomini (spesso reduci di guerra) rende molto difficile il mantenimento della famiglia stessa e le donne diventano per questo il fulcro centrale del sostentamento familiare. Sono loro che si occupano dell’educazione dei figli e della raccolta della legna, della cura dell’orto e del bestiame, quando c’è. Mi basta guardare le loro mani per capire che il loro lavoro è duro. La maggior parte delle famiglie vive in piccole case a ridosso di boschi e le condizioni generali sono di povertà. Nonostante questo alcuni riescono a vivere dignitosamente in case tenute abbastanza bene.

 

 

 

 


Foto3600 La giornata trascorre velocemente e arriva il momento dei saluti per Semka e Caterina.
Arriviamo in albergo: giusto il tempo per la cena e una doccia, e subito a letto per recuperare un po’ di energia per il giorno successivo.
Siamo a Donji Vakuf. Entrati da poco nella sede di Anima,

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto3612 Iniziano subito ad arrivare le prime famiglie. Non saremo noi ad andare da loro, ma oggi verranno loro da noi perché sono molte le persone da incontrare. Sono molto più emozionata di ieri perché oggi finalmente conoscerò Amila la bimba che ho in adozione insieme ad un’amica. Sono molti i casi che affrontiamo, per molti bambini abbiamo portato dall’Italia dei pacchi dedicati che gli adottanti hanno preparato per loro. E’ bellissimo vederli sorridere mentre aprono le loro borse.


Finalmente la porta si apre ed ecco la piccola Amila! Faccio un balzo e mi metto subito vicino a lei; una volontaria mi suggerisce la frase per chiederle un piccolo bacio e lei risponde subito. Amila ha sei anni e ha la sindrome di Down. Alla nascita i medici non erano per niente ottimisti, nessuno avrebbe scommesso sulla sua crescita: invece nonostante i gravi problemi di salute sembra una bimba con ottime possibilità di apprendimento .
E’ accompagnata  dalla mamma che inizia subito a raccontarci delle ultime novità della sua piccola.
Amila ha anche una sorella più grande, del padre non si parla: dalla scheda sembra che  lui soffra di problemi psicologici. L’incontro è davvero emozionante e quando arriva il momento dei saluti non è tristezza quella che provo, ma voglia di tornare il prima possibile.
Per la pausa pranzo arriva un piatto prelibato tipico della Bosnia che è la pita una specie di pane molto sottile farcito con ogni ben di Dio. E’ il grande cuore di Asrah  che ce la offre e così cogliamo l’occasione di fare due chiacchiere con lei. La nostra amica soffre di problemi di circolazione, in particolare dovrebbe essere operata alla vena safena perché oggi le sue vene sono molto grosse e le causano molti problemi. In Italia abbiamo preso alcuni contatti per organizzare la possibilità di farla curare e nonostante la sua comprensibile paura siamo riusciti a convincerla a farsi aiutare e speriamo che presto possa farsi operare.
La giornata termina, siamo molto stanchi ma anche soddisfatti perché abbiamo incontrato tutte le nostre famiglie e questo è importante perché in questo modo relazionare ai nostri amici in Italia sarà più bello.

Foto3627A cena conosco Hamdja  il ginecologo che nel presidio ospedaliero di Donji Vakuf si occupa del progetto “Pap-Test” che consente alle nostre donne di eseguire questa analisi molto importante per la prevenzione del tumore del collo dell’utero, che in Bosnia purtroppo è ancora una realtà molto drammatica. Per fortuna un po’ di belle notizie: Hamdja ci racconta di come il progetto stia dando buoni frutti e soprattutto di come, attraverso questa azione, molte donne si stiano rendendo conto dell’importanza della prevenzione. Questo è un passo molto importante perché nella maggior parte dei casi le donne, nonostante due o tre gravidanze, non hanno mai effettuato una visita ginecologica.

 

 

 

 

 

 

 

 


Foto3662 Il giorno seguente effettuiamo le ultime visite che ci restano nel paese di Bugojno, anche qui incontriamo realtà molto delicate come ad esempio quella di Valentin un bimbo autistico che appena ci vede inizia ad agitarsi ma a cui basta una caramella per ritrovare il sorriso.
Il tempo di pranzare insieme ad Hamdja ed alla sua splendida famiglia che dobbiamo preparare i bagagli per tornare in Italia.
Ultimiamo gli ultimi conteggi insieme a Sada e via, siamo in viaggio verso casa…..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Questi giorni mi hanno lasciato dentro tante cose gioia, tristezza, paura, speranza e tante non sono nemmeno riuscita a comprenderle, mi hanno cambiata e basta. Ogni persona mi ha donato qualcosa di suo, uno sguardo, una mano tesa e quella parola che mi ritorna alla mente spesso: “HVALA”, che in bosniaco significa “GRAZIE”. Io credo di dover ringraziare a mia volta tante persone, per avermi dato l’opportunità meravigliosa di toccare con mano una realtà che non conoscevo e che nemmeno immaginavo fosse così vicina a me. Ora il mio impegno come volontaria in Italia è diverso, quando incontro le persone e cerco di spiegare loro quello che ho vissuto in questo viaggio e in cosa consistono le nostre attività, lo faccio con la consapevolezza di chi ha attraversato quei luoghi e incontrato quelle persone tanto sfortunate ma piene di dignità, che meritano un futuro migliore. Ora so che il nostro sforzo qui è importante perché i nostri amici in Bosnia ci aspettano a braccia aperte, e non solo per raccogliere il nostro aiuto, ma anche solo per un abbraccio sincero.

Il mio “HVALA” va a tutti gli amici di SIE, a coloro che mi hanno accompagnata in questo viaggio e mi hanno dimostrato una grande fiducia nonostante la mia inesperienza e a tutti gli altri volontari che in ogni occasione mi insegnano qualcosa di nuovo e alimentano, con il loro, il mio entusiasmo.


Foto0210Il mio “HVALA” va anche alla mia piccola Amila perché mi ha dimostrato che le distanze tra mondi diversi si annientano in un solo semplice, bellissimo ..............

..............................................SMACK! 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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