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			  Bosnia Marzo 2013 
						"Da piccolina scrivevo spesso, 
						trovando ispirazione nelle più piccole cose; ricordo di 
						aver persino composto una poesia utilizzando come 
						soggetto una sedia.
 Con il passare degli anni, 
						forse per lo studio, per assenza di tempo o anche per 
						mancanza di idee, non ho più scritto. Sentivo la voglia 
						di farlo, ma mi mancavano un motivo valido e lo stupore 
						che avevo una volta e che mi davano modo di fare 
						riflessioni profonde, oltre che in mente, anche su un 
						pezzo di carta.
 
 Improvvisamente, circa cinque 
						minuti fa, mi sono alzata dalla mia postazione sul 
						pulmino che ci sta riportando a casa dopo il viaggio in 
						Bosnia per prendere nella valigia il quaderno vuoto che 
						avevo pensato di portare prima della partenza, nel caso 
						avessimo bisogno di carta su cui fare dei giochi.
 
 L'utilizzo che invece sto facendo di questi fogli 
						"spogli" è per scrivere, anzi... Per tornare a scrivere 
						dopo molto tempo. Sento di essere pronta e di avere le 
						giuste motivazioni ed ispirazioni.
 
 Stavo 
						pensando, guardando il paesaggio fuori dal finestrino, a 
						come andrò a dormire stasera e a come mi sveglierò 
						domattina. Prima di tutto avrò la mia famiglia ad 
						aspettarmi, pronta a coccolarmi e ad ascoltare il 
						racconto della mia esperienza; avrò il bagno con la 
						doccia, per potermi lavare e rilassare sotto l'acqua 
						calda, sprecandone anche alcuni litri; avrò la 
						televisione, per guardare qualche programma insensato e 
						distrarre la mente dai pensieri più negativi; ci sarà la 
						dispensa, in cui si trovano gli snack più vari ed infine 
						andrò nel mio letto matrimoniale e persino troppo 
						grande, in cui dormirò profondamente.
 
 Cosa hanno 
						invece tutte le stupende persone che ho avuto modo di 
						incontrare in questa terra, segnata da un passato 
						doloroso ed indelebile, lacerata dalle sofferenze e 
						colpita nella sua essenza? Come possono andare avanti, 
						avere la forza ed il coraggio di proseguire per la loro 
						strada con le loro preoccupazioni, quando io faccio 
						fatica a venire fuori dai miei micro problemi? E com'è 
						possibile che riescano a sorridere nonostante, anziché 
						vivere, siano costrette a sopravvivere?
 
			  Sono la semplicità che ho visto in questo 
			  popolo, il sorriso dei bambini e la cattiveria di certi destini 
			  che mi conducono a queste domande.
 E pensare che Jayce, 
			  Donji Vacuf e Bugojno sono solo tre piccole realtà, in parte 
			  rappresentative della situazione di miseria con cui oltre tre 
			  quarti della popolazione mondiale deve convivere.
 
 Errori 
			  terribili compiuti nella storia si riversano ora, anche se a 
			  distanza di anni, su uomini, donne e bambini innocenti, la cui 
			  vita è semplicemente sospesa ad un filo.
 
 La quotidianità di 
			  queste persone è di trovarsi in case incapaci di sorreggerle 
			  ancora per molto, prive di acqua, di luce, di letti e di 
			  riscaldamento; è di non potere essere autosufficienti, tanto che 
			  alcuni dipendono dal cibo fornito dalle mense pubbliche una volta 
			  al giorno. Certi hanno vissuti talmente disturbati dal dispiacere 
			  da essere portati ad abusare di alcool o di altre sostanze, viste 
			  come l'unica distrazione o rimedio possibili. Altri, immersi nella 
			  "non conoscenza", non riescono a comprendere le possibili 
			  conseguenze dei comportamenti tenuti ed altri ancora, estremamente 
			  capaci in qualcosa, non nutrono nemmeno la speranza di poter 
			  sviluppare le loro abilità o non possiedono un sogno, consapevoli 
			  di essere già sconfitti in partenza.
 
 Il passato bosniaco 
			  non si riflette solo nei colpi di granata "scolpiti" nei muri 
			  delle case, nel grigiore del paesaggio e nelle strade desolate, ma 
			  anche nei volti della gente, nelle mani sciupate delle donne, 
			  negli occhi spenti dei genitori ed in un'atmosfera che, anche se 
			  accompagnata dai rumori della città, trasmette un senso di vuoto, 
			  di silenzio e di memoria che si colgono nell'aria.
 
 Per 
			  rendere le mie parole più concrete vorrei riportare alcuni casi di 
			  vita i quali, anche se pochi paragonati alle molteplici varietà di 
			  situazioni presenti in questo Paese, rendono da soli sacri gli 
			  aiuti di persone ed associazioni, tra cui S.I.E., dotate dalla 
			  volontà di avere un ruolo attivo nel mondo.
 
 
			  Seherzada è una dei figli della signora più forte, umile, 
			  realistica e dignitosa che io abbia mai conosciuto. Vive in una 
			  casa crepata fino al tetto e tenuta in piedi da sostegni troppo 
			  fragili, tra cui dei tronchetti di legno. 
			  
			   Al momento della nostra 
			  visita ci accoglie con stupore, così come fanno gli altri 
			  fratellini. La vivacità che una bambina della sua età dovrebbe 
			  normalmente avere è leggermente attenuata dalle ovvie e difficili 
			  circostanze, ma questo non la ostacola nel relazionarsi ai 
			  volontari con sorrisi e gesti delicati ed affettuosi. Per giocare 
			  con lei uso la scatoletta di trucchi che ha in mano e che le è 
			  appena stata donata, per mostrarle il suo utilizzo e per propormi 
			  da cavia su cui sperimentare gli ombretti colorati.!   Quello che più mi colpisce è il suo pormi 
			  il regalo, da poco ricevuto, mostrando una piccola resistenza, 
			  causata dalla paura che quell'umile oggetto non le ritornasse più 
			  indietro, seguita da un segno di arrendevolezza, come se fosse 
			  ormai scontato e quotidiano per lei perdere qualcosa o rinunciare 
			  a ciò che vorrebbe avere. L'innocenza e la dolcezza del suo gesto 
			  mi hanno davvero commossa.
 Un altro caso è quello della 
			  madre di una famiglia ROM che, non potendo fare diversamente, 
			  occupa una casa serba, nemmeno completata nella costruzione. Come 
			  può una madre, il cui unico scopo sono i suoi figli, continuare 
			  sapendo che da un giorno all'altro potrebbe trovarsi nuovamente in 
			  mezzo alla strada, disorientata e spaventata? Come può una madre 
			  convivere con il pensiero di essere costretta ad esporre i suoi 
			  piccoli ai pericoli di quelle abitazioni instabili, eppure essere 
			  talmente disperata da non avere altri rimedi? E pensare che la 
			  casa è sempre stato il luogo della protezione, della sicurezza, 
			  della serenità, della condivisione e della famiglia e non quello 
			  in cui avere il terrore di stare e da cui voler solo scappare.
 
 
			   So che le mie parole sono troppo piccole e 
			  semplici per descrivere la realtà che ho incontrato ma, nello 
			  sforzo di essere il più profonda possibile, ho sentito il bisogno 
			  di esprimere su dei fogli quello che ho provato. So anche che non 
			  sarà questo a rendere l'esperienza appena vissuta indelebile nella 
			  mia mente e nel mio cuore. Questi giorni in Bosnia infatti mi hanno 
			  fatto tornare a casa con un'anima in più. Un'anima nutrita dalla 
			  condivisione della tristezza e della sofferenza che ho sentito a 
			  contatto con le famiglie incontrate; un'anima forte per la volontà 
			  di stare vicina a certe persone e contemporaneamente debole per il 
			  pensiero di vivere in un mondo agiato, ma non per questo in quello 
			  reale; un'anima piena di dispiacere per quello che i miei occhi le 
			  hanno mostrato ed un'anima colma di amore verso i fantastici amici 
			  che mi hanno permesso di svolgere questo viaggio in loro 
			  compagnia, verso le persone bisognose che ho avuto occasione di 
			  conoscere, verso questi bambini, così semplici e speranzosi... 
			  Verso il prossimo."   Home > 
			  
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